lunedì 12 agosto 2013

Palermo . Piccola moschea scoperta in una casa

Sotto l’intonaco fregi e decori arabi
Piccola moschea scoperta in una casa 

 


Giuseppe Cadili con lo storico Gaetano Basile


PALERMO. Una moschea palatina, anzi domestica, a un tiro di fionda dal Palazzo dei Re. Esplode nell’azzurroindaco che segna sin dalle origini la bellezza artistica dell’Islam: quattro mura, lati uguali, intrise di stupore e di domande.
Esplode sotto l’impeto controllato dei mastri che ristrutturano casa Cadili, appartamento di via Porta di Castro che Giuseppe Cadili, giornalista che collabora con questo giornale, e Valeria Giarrusso, stessa professione, abitano da poco con il loro piccolo Antonio Tancredi. Esplode, dall’epoca probabile della sua fondazione, fra Sette e Ottocento, di luce di Levante e di domande, questa camera dello scirocco mistico venuta fuori sotto più e più «mani» di ducotone e muffa di salnitro.

 Dipinta uniformemente, decorata di raffinate iscrizioni arabe dorate e argentate, orlata sul soffitto dell’eterno simbolo della lucerna. Vuota in potenza di cose e suppellettili, scoraggiate dal raziocinio dello spazio, ignara d’immagini e volti. Cos’è? Che ci fa? Che dice, attraverso i secoli? E quanti secoli?
Il primo studioso chiamato a sbatterci contro, dopo gli stupefatti padroni di casa, è lo storico Gaetano Basile, interprete di palermitanità: «Le iscrizioni sono di rara eleganza - dice - e ripetono lo stile della calligrafia arabo-cufica, una delle più antiche e raffinate forme di decorazione islamica». Dalla «tendenza aniconica», dicono i libri. Al di là dei pochi spazi dedicati alla sura, i versetti del Corano, la maggior parte dei decori è bellezza fine a se stessa, «cioè ripete artigianalmente - continua Basile - la calligrafia a scopo adornativo. È un fenomeno ben noto alla nostra cultura, segnata dall’invenzione del rabbisco, retaggio tutto siciliano, appunto, dell’arabesco. L’artigiano siciliano, non conoscendo (più) l’arabo, scambiava i versetti calligrafici per decori, e li emulava. Di rabbischi erano pieni i carretti siciliani di scuola palermitana. In ferro battuto, fregiavano le casce di fuso del carretto. Chi ha decorato questa stanza era un grafico raffinato. Si può anche immaginare che fosse un arabo portato qui dal padrone di casa committente». Forma e sostanza senza volto, la calligrafia araba, capace di dire senza immagini, trasformando la lettera in arte. E oltre: qui è decoro puro.
E la datazione? «Proviamo - riprende Basile -. La via Porta di Castro fu tracciata ovviamente dopo l’interramento del Kemonia, anni attorno al 1595. Era cuore di commerci, arteria fondamentale fra il Palazzo Reale e i mercati. L’edificio è del tardo ‘700, quindi è probabile che la casa appartenesse a un notabile o mercante maghrebino che aveva messo su casa a Palermo. A quell’epoca, i traffici con Tunisi erano fittissimi: datteri, scagliola per i gessi, foraggio, dato che la nostra Isola era intensivamente seminata a frumento. A Tunisi ci sono ancora oggi eredi di trapiantati siciliani, e c’era un quartiere di nostri corregionali. Nel 1831 in Tunisia arrivarono i francesi e la corsia preferenziale si attenuò. Questo signore si fece in pratica la moschea a casa. Gli indizi: è esposta a est, ha lati perfettamente uguali di 3,5 per 3,5 metri, ha porte collocate in modo tale da impedire la collocazione di mobilia, al soffitto ridonda il motivo della lucerna». Segno transculturale mistico, dalla lampada di Aladino all’età paleocristiana. «Una moschea di casa, insomma, che offriva anche la comodità di pregare tutti insieme, non essendo necessario il matroneo, cioè lo spazio riservato alle donne nelle moschee pubbiche».
I padroni di casa ascoltano, poi erompono: «Questa stanza trasmette una straordinaria sensazione di serenità - dice Giuseppe -. Mi piace stare in silenzio ad ammirare questi splendidi decori oro e argento fatti realizzare certamente da una persona profondamente religiosa». E Valeria: «È uno scrigno venuto alla luce “grazie” all’umidità, era nascosto sotto diversi strati di calce di vari colori. Rispettiamo questo luogo di preghiera e di raccoglimento, e, come prevede la cultura musulmana, in questa stanza non serviamo mai alcolici». (GiornaleDiSicilia)


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