Una cultura fiorita in Sicilia circa mille anni fa, quella
arabo-siciliana, oggi completamente dimenticata. Ci pensa Franco
Battiato a darle nuovo lustro con lo spettacolo “Diwan, l’essenza del
reale”, realizzato un paio d’anni fa in occasione delle celebrazioni per
il centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, e che mercoledì alle 21
arriva a Trieste, al Politeama Rossetti.
Battiato, cosa significa Diwan?
«Nella nostra accezione significa canzoniere, raccolta di componimenti poetici».
Ci spieghi questo progetto.
«L’unione di due linguaggi musicali apparentemente differenti».
Come immagina la Sicilia dell’anno Mille?
«Una Sicilia rinascimentale».
Qual è stata la molla che ha fatto scattare il suo interesse?
«Ho studiato i grandi mistici del sufismo».
Quanta cultura araba c’è ancora nella Sicilia di oggi? Che influenza ha avuto su di noi?
«Oggi credo che sia rimasto ben poco, ma è sempre ben conservato nel nostro patrimonio genetico».
C’è un filo che lega il concerto dell’Apriti Sesamo Tour e questo spettacolo?
«Solo alcune canzoni del mio repertorio».
Ci spiega il progetto “Attraversando il bardo”, le riprese che sta realizzando in Nepal...
«Mi
è stato commissionato un documentario sulla morte, il 30 novembre parto
per Katmandu per intervistare tre lama tibetani, ho già intervistato un
ateo e un monaco».
Il suo film su Händel?
«Aspettiamo».
Con Antony and the Johnsons com’è andata? Farete altre cose assieme?
«Quièn sabe... (nella colonna a destra, tentiamo di sopperire all’estrema laconicità della risposta - ndr)».
Ora che la sua “carriera politica” è alle spalle si sente meglio?
«Sì».
Se tornasse indietro direbbe di nuovo sì a Crocetta?
«No».
Grande
artista, Battiato, anche quando risponde alle interviste. Memore
dell’ammonimento del Vangelo («Il vostro parlare sia sì, si; no, no. Il
di più viene dal maligno...»). E forse avviato sulle orme di John Cage,
che rispose così a un intervistatore: «La sua è un’ottima domanda, mi
consenta di non rovinarla con una risposta».
Del resto stiamo
parlando di uno che, un paio d’anni fa, rispose a Lilli Gruber a
“Ottoemezzo”: «Non sono né di destra né di sinistra, sto in alto».
L’anno scorso, di questi tempi, accettò a sorpresa di entrare nella
giunta regionale siciliana. Finì che in una visita al parlamento
europeo, a Bruxelles, a marzo, parlò di «queste troie che si trovano in
parlamento, farebbero qualsiasi cosa. È una cosa inaccettabile, sarebbe
meglio che aprissero un casino...». Polemiche, indignazione, richieste
di dimissioni, revoca dell’incarico.
Ma torniamo a noi. E allo
spettacolo che arriva al Rossetti. Si diceva della cultura, della scuola
poetica arabo-sicilaina che prese vita intorno all’anno Mille in
Sicilia. In quasi tre secoli di attività lasciò tra i manoscritti
dell’Andalusia e del Nord Africa tracce preziose di una produzione molto
ricca e di un fertile intreccio di culture. L’artista siciliano, classe
1945, ha ripreso in mano un millennio dopo queste opere per riproporle
in musica. Ne è venuto fuori un omaggio a una cultura dimenticata e a
una lingua lontana ma che fa parte della nostra storia e delle nostre
radici culturali.
Con lui, sul palco, i musicisti Etta Scollo,
Nabil Salameh dei Radiodervish, il tastierista Carlo Guaitoli, Gianluca
Ruggeri della Pmce e Ramzi Aburedwan, fondatore degli Al Kamandjâti. Un
ensemble multietnico, assieme al quale Battiato propone brani scritti
per l’occasione e ripropone pezzi tradizionali nonchè nuove letture di
suoi classici. Fra questi: “Haiku”, “L’ombra della luce”, “Aurora”,
“Veni l’autunnu”, “Personalità empirica”, “Lode all’inviolato”...
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