sabato 28 settembre 2013

“A Ovest della Giordania ci sarà solo Israele, lo vuole la Torah”

“A Ovest della Giordania ci sarà solo Israele, lo vuole la Torah”

 28/09/2013

“A ovest della Giordania ci sarà un solo paese, lo stato di Israele“. Cosí il ministro degli Alloggi israeliano Uri Ariel ha commentato il recente discorso tenuto da Abu Mazen all’Onu e quanto da lui dichiarato in un incontro con i leader della comunità ebraica di New York; il premier palestinese aveva auspicato una risoluzione permanente del conflitto, invitando a lavorare per “uno stato palestinese autonomo con capitale Gerusalemme Est” e che “è giunto il tempo per musulmani, cristiani ed ebrei di vivere in pace“,  i cui frutti saranno goduti “sia dagli israeliani che dagli arabi”.

Una risposta, quella dell’ultra-nazionalista Ariel, che lascia ben poco all’interpretazione: “Israele continuerà a costruire ovunque: in Gailea, nel Neghev, in Giudea e Samaria (cioè in Cisgiordania, ndr) e a Gerusalemme. Chiunque crede che la realtà possa cambiare ha delle allucinazioni. Continueremo con gli insediamenti, che verranno rafforzati. A ovest della Giordania ci sará un solo paese, lo stato di Israele”. Secondo il ministro israeliano, la politica degli insediamenti  è “coerente con gli insegnamenti della Torah” e i coloni sono “persone buone che rappresentano la Torah”.

Il dialogo non è l’unione di due monologhi. Il ministro israeliano ha esplicitamente lasciato intendere di non desiderare la pace, ma di avere l’obiettivo di un’Israele in cui il pluralismo non sia di casa. Il partito di Ariel, HaBayit HaYehudi (il cui significato è “Focolaio Ebraico” o, letteralmente, “La casa ebraica”), vanta ben tre ministri nel governo Netanyahu: lo stesso leader del partito Naftali Bennett, ministro del Lavoro, del Commercio e dell’Industria nonché ministro degli Affari religiosi; lo scrittore Uri Shraga Orbakh, ministro delle Pensioni e, in ultimo, il sopra menzionato Uri Ariel. Il partito, che oltre ai tre esponenti governativi ha anche 12 seggi nel Knesset (pari al 10%), è strettamente legato ai coloni; basti citare che il leader Bennett (lo stesso che ha esclamato con orgoglio “Nella mia vita ho ucciso tanti arabi e per me non c’è nessun problema a riguardo”) era responsabile del Concilio degli insediamenti in Giudea e Samaria o che Uri Ariel è stato classificato da Matot Arim, un’organizzazione di coloni, come il parlamentare di destra più efficiente nel Knesset nel 2011, andando al secondo posto nel 2012.
 
Alla base del pensiero del partito vi è un inquietante cocktail tra giudaismo radicale e ultranazionalismo neosionista. Ciò che unisce le due matrici è il sogno della Eretz Yisrael Hashlemah, la Grande Israele che, secondo un’interpretazione letterale della promessa biblica, si estenderá dal Nilo all’Eufrate.
Si potrebbe affermare che non sono questi gli interlocutori dei palestinesi. Che, nella loro folle e razzista ideologia neosionista, questi estremisti sono soltanto pochi esaltati le cui provocazioni andrebbero prese solo come folklore di dubbio gusto. E se sapere che il 10% del parlamento israeliano è in mano a questi galantuomini non è sufficiente, vi basti considerare il ruolo fondamentale che svolgono i gruppi di pressione pro-coloni. Per placare la loro ira infatti Israele ha autorizzato la costruzione di nuovi alloggi negli insediamenti ebraici in Cisgiordania (insediamenti illegali per il diritto internazionale, ricordarlo non guasta) all’indomani dell’approvazione della Palestina come stato osservatore Onu. La stessa “caramella” viene usata per addolcire gli animi dei coloni ogni qual volta il governo di Tel Aviv sembra essere troppo morbido. Durante i colloqui di pace, per esempio, o la settimana scorsa dopo l’uccisione del soldato di occupazione a Hebron.

Non dunque chiacchiere da parrucchiere, quelle di Uri Ariel, bensì frasi pesate e ponderate con la consapevolezza che il proprio partito, per quanto imbarazzante anche per il governo israeliano (perché le continue provocazioni dei coloni e del loro megafono in Parlamento rischiano di portare la popolazione palestinese all’esasperazione, con il conseguente rischio di una nuova Intifada), è tuttavia necessario allo stesso. (Frontierenews)

 

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