martedì 18 giugno 2013

Varallo - Sindaco leghista : Vietato l'uso del Niqab e la presenza dei "vu cumprà"

Varallo - Sindaco leghista : Vietato l'uso del Niqab e la presenza dei "vu cumprà"

17/06/2013

La bella Varallo (in Valsesia) ormai da tempo è deturpata da enormi cartelloni e manifesti fatti collocare, dall'attuale sindaco leghista DOC.

Tra i tanti enormi cartelloni all'ingresso della cittadina, Uno in particolare attira la nostra attenzione, c'è scritto a caratteri cubitali: VIETATO L'USO DI BURQA BURQINI - VIETATA L'ATTIVITÀ A "VU CUMPRÀ" E MENDICANTI -. Enormi X rosse cancellano la figura di due volti col burqa e quella di un mendicante.

Si sa che in Italia vi è già una precisa norma che vieta di tenere nascosto il viso in luoghi pubblici. Si sa anche che un venditore ambulante può essere definito tale senza ricorrere, in un pubblico comunicato, con intento offensivo, al termine " vu' cumpra' ". Si sa anche che un povero mendicante, magari sulla soglia di una chiesa (e i poveri, che aumentano sempre di più, mantengono nel dramma la propria dignità) non da origine a uno slum, a una improvvisata baraccopoli. Anche il sindaco della bella Varallo lo sa! Ma per lui è importante l'ostentazione, quella ostentazione che significa: "qui vige un'autentica amministrazione leghista!. Sappiatelo!".

La risposta al sindaco arriva dalle sorelle del sito Niqab.it. sul sito infatti viene riportato un articolo dal titolo

"Cosa dice la legge? : In Italia il niqab è legale, anche se la gente non lo sa." e a quanto pare neanche i sindaci ...

Circolare del dipartimento della Polizia dello Stato e sentenza del tribunale di Treviso

L’articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152 dice: È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo.

Che il niqab rientri nella categoria del “giustificato motivo” non lo dicono solo le “munaqqbat” (donne che indossano il niqab) italiane, ma lo afferma, in prima istanza, una circolare del dipartimento della polizia di Stato del dicembre 2004.

In seguito, anche dopo l’approvazione del pacchetto Pisanu che includeva “pene severe per chi circola in pubblico con il volto coperto, che si tratti di casco o di burka“, la sentenza del tribunale di Treviso del 15 agosto 2005 stabilisce che se il niqab è indossato per motivi religiosi non costituisce reato.

A questo punto, nei comuni del nord in cui l’antislamismo è riuscito ad arrivare nelle sedi amministrative, si è pensato di ricorrere all’art. 15 della legge n. 121 del 1981 che permette al sindaco di esercitare la funzione di  ufficiale di Governo e intervenire, attraverso lo strumento dell’ordinanza sindacale e la figura del poliziotto municipale, laddove si creasse una situazione di urgenza, esclusivamente per motivi di pubblica sicurezza.

E’ chiaro che un’ordinanza sindacale può emettersi solo in conformità con la legge nazionale e non certo in discordanza.

A garantire la conformità c’è, sopra alla figura del sindaco/ufficiale di Governo, la figura del prefetto/ufficiale di Governo di grado superiore al sindaco.

Sentenza del Consiglio di Stato

Una delle prime e più famose ordinanze sindacali anti-niqab emesse in Italia fu l’ordinanza n. 24/2004 dell’allora sindaco del Comune di Azzano Decimo in provincia di Pordenone.

Siamo a Drezzo, piccolo Comune in provincia di Como amministrato dalla Lega, nel luglio del 2004. Sabrina Verroni, 34 anni, nata e residente a Drezzo, sposata con un marocchino e convertita all’Islâm, sta aspettando l’autobus, indossando, come fa da anni, il niqâb (velo integrale). Passa di lì un vigile e le fa una contravvenzione, contestandole il reato della violazione dell’articolo 85 del Regio decreto 773 del 1931, che vieta di comparire in luogo pubblico mascherati. Il risultato? 42 euro di multa.
Secondo l’avvocato Serena Soffitta, legale della nostra sorella Sabrina, la norma contestata è quella che vieta i mascheramenti in pubblico, e non sarebbe applicabile nel caso di veli indossati per motivi religiosi, come nella fattispecie. Ma il sindaco leghista, Tolettini, replica emettendo un’ordinanza che proibisce di circolare in burqa.
Il prefetto locale, Guido Palazzo, annulla l’ordinanza, rilevando «eccesso di potere e duplicazione di norme esistenti».

Chi vuole può scaricare e leggere integralmente la sentenza del Consiglio di Stato del 2008 con la quale veniva annullata l’ordinanza.

Nonostante questa sentenza vanifichi una volta per tutte qualsiasi ordinanza sindacale che non sia in accordo con la legge nazionale – e quindi ovviamente anche qualsiasi ordinanza sindacale anti-niqab – alcuni sindaci comunali continuano ad emanarne.

Ovviamente capiamo il gioco politico e non nutriamo nessun rancore nei confronti di poveri sindaci che, una volta votati, devono comunque trovare un modo di mantenere fede a qualcuna delle promesse elettorali. Un provvedimento anti-niqab è forse uno dei modi più semplici e immediati di rinsaldare il rapporto con gli elettori, ma è comunque un provvedimento illegale.

Un’ordinanza sensata ( e legale)

Non tutte le ordinanze sindacali sono da buttare, attenzione!

Attraverso il decreto del Ministro dell’interno 5 agosto 2008 con il quale è stata data attuazione al decreto legge n. 92 recante «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica», è possibile a livello locale emanare ordinanze per impedire a chi mantiene il volto coperto l’accesso a musei, pinacoteche e simili.

In fondo, diciamocelo, visitare un museo non è un bisogno di prima necessità ....

Sentenza del tribunale di Cremona

Analoga la storia di Munia Mzoughi, una sorella tunisina residente a Cremona che, come riportiamo da un comunicato Ansa probabilmente non più online:

Tre anni fa entro’ nel Palazzo di giustizia di Cremona con il volto coperto dal velo islamico e fu denunciata dalla polizia. Da allora gira a viso scoperto: porta il ”foulard di Allah” solo per nascondere i capelli. Oggi il giudice Pierpaolo Beluzzi del Tribunale di Cremona ha assolto, perche’ il fatto non sussiste, Monia Mzoughi di 37 anni, tunisina, residente a Cremona, che il 21 settembre 2005 arrivo’ velata in tribunale per assistere al processo contro il marito.

Comunicato  Ansa 27 novembre 2008.

Molto si è giocato, proprio come si gioca in questo comunicato, sull’ipotetica costrizione della sorella Munia nell’indossare il niqab. Avendo avuto modo di parlare con sorelle che la conoscono direttamente sappiamo che la sorella indossava il niqab per scelta personale e religiosa. Gli eventi successivi, l’essersi trovata in stato di necessità con il marito in prigione e i figli da mantenere, l’hanno costretta ad adottare un hijab che le permettesse di far fronte alle nuove impellenze.

Solo Allah conosce i cuori, noi giudichiamo solo le dichiarazioni.

Purtroppo i giornalisti e i politici no. Loro pretendono di conoscere i nostri cuori, le nostre necessità più profonde, quello che celiamo in segreto e che i nostri mariti non sanno.

Beh, molte di noi non hanno marito e non hanno nemmeno un padre o un fratello musulmano, eppure indossano il niqab. O almeno ci provano o ci hanno provato.

In questo sito valutiamo i fatti, non lugubri supposizioni e fantasie sui misteriosi ingranaggi della mente altrui.

Conclusioni

I comuni italiani non possono emettere ordinanze sindacali anti-niqab, perchè in contrasto con la legge nazionale.

Se lo fanno le multe possono essere impugnate attraverso ricorso al Tar.

Se siete state multate o conoscete sorelle che sono state multate non esitate a contattare il vostro avvocato e, se non sapete a chi rivolgervi, contattateci al seguente indirizzo:

info@niqab.it

oppure consultate la pagina indirizzi utili, che – se Dio vuole – sarà mantenuta in continuo aggiornamento.

 Infine, un utile articolo che parla anche della Carta dei valori, approvata con decreto del Ministro degli interni del 23 aprile 2007.


Lo Staff

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