mercoledì 9 ottobre 2013

Una coperta, un gioco, un panino: la solidarietà per i siriani in stazione

Giornata in Stazione Centrale. Accorro all’appello fatto da volontari di associazioni umanitarie impegnate per sostenere i profughi siriani. Uno zaino in spalla, pieno di vestiti per neonati, cappotti per bambini, intimo, calzini. Trovo molti altri giovani con zaini carichi in spalla come me. Ci ritroviamo nel piano ammezzato della Stazione. Ci guardiamo intorno e cerchiamo chi ha bisogno. Non chiediamo da dove provengano, non ci interessa, ma sappiamo che la maggioranza sono siriani. Inizialmente abbiamo trovato molta diffidenza. Pochi hanno accettato gli aiuti. Quando abbiamo preso più confidenza e stabilito un rapporto di fiducia con alcuni abbiamo capito il perché della chiusura dei più. Truffe, rapine, stupri, estorsioni, ricatti…è quello che subiscono da settimane in questo loro drammatico viaggio della “speranza”. Ci raccontano del loro sogno di arrivare in Svezia, questo Paese così freddo e asettico rispetto ai loro Paesi di origine è diventato il miraggio che vedono e non riescono a raggiungere. Una mamma continua a rincuorare la figlie dicendole che non appena sarebbero giunte a destinazione le avrebbe comprato i giochi che continua a richiedere guardando le vetrine di Immaginarium.
“Appena arriviamo in Svezia ti prendo quello, faremo quest’altro, portiamo papà”.
Un’altra piccola bimba di 7 anni è rinchiusa nel silenzio. Non vuol parlare di nulla. Rinnega di essere siriana e di essere mai stati in Siria.
Mi dice “io non mi ricordo niente”. Eppure i suoi occhi raccontano molto più delle sue parole.
Hanno bisogno di tutto. Molti hanno dovuto buttare le valigie in mare cercando di non affondare nei barconi stracarichi. Altri sono stati derubati. Da qualche giorno si è creata una straordinaria catena di solidarietà. Composta da giovani e donne in particolar modo, di tutte le origini e confessioni.
Pura solidarietà. Si arriva con ciò che si ha, e si offre: un maglione, una coperta, un gioco, una bevanda calda, un panino.
Molti offrono addirittura un posto dove dormire o un alloggio in albergo. Molti rifiutano. Ci raccontano di storie che hanno sentito, raccapriccianti. Difficile organizzare gli aiuti perché non si sa mai quando i gruppi arrivano e quando partono.
Fantasmi che fluttuano discreti negli angoli della Stazione, ignari ai più.
Ieri ho passato almeno 8 ore a sentirli ragionare continuamente su quale potesse essere la via più sicura per arrivare in Svezia o in Germania.
In Italia nessuno vuol rimanere. Un po’ mi ferisce questo fatto.
Non vogliono stare perché sanno che noi (Stato) non possiamo (vogliamo?!) offrire se non poco, troppo poco. Eppure da questa stessa stazione quanti italiani sono transitati in passato? Si avventuravano anche essi in viaggi della speranza.

Noi siamo loro e loro sono noi.
La catena di solidarietà continua. Arrivano buste con soldi per comprare ciò che serve perché la breve permanenza in Italia sia alleviata.
“Ai fratelli siriani”, mi scrivono.
Poi, arriva la sera. Noi sotto le calde ed accoglienti coperte. Protetti tra le mura di casa. Sereni di sapere che i nostri figli sono nella stanza accanto. Ma il pensiero di chi tutto ciò non ha tormenta. Difficile dormire sereni sapendo che tanti hanno freddo, fame e paura. Orgogliosa e commossa, però, di sapere che c’è ancora tanta sincera bellezza nell’umanità e la sincera solidarietà di questi giorni lo conferma.
Caro governo, attendiamo nuove disposizioni.

di Sumaya Abdel Qader per il Corriere della sera Milano

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