venerdì 11 ottobre 2013

I pirati della spazzatura


I Paesi ricchi dicono no ai rifiuti «scomodi». I motivi sono due: costo e ambiente. Seguendo le direttive Ue, decontaminare e disporre dei residui tossici costa oltre mille dollari alla tonnellata, mentre i «pirati della spazzatura» offrono prezzi dieci volte più bassi. Ecco spiegato perché il 47 per cento delle scorie europee, ossia quelle tossiche, come i rifiuti elettronici - dai vecchi computer ai macchinari ospedalieri - viene per la quasi totalità spedito per mare ai Paesi in via di sviluppo, spesso a bordo di navi-pirata.
Il business dei rifiuti tossici è globale. La produzione annua mondiale di rifiuti elettronici va dai 20 ai 50 milioni di tonnellate. Il materiale tossico si divide in rifiuti riciclabili e non riciclabili: i primi partono per l’India e la Cina, dove sono venduti all’asta ai nascenti capitalisti asiatici, i secondi finiscono nelle mani dei pirati della spazzatura.
I pirati moderni sono imprenditori dediti al commercio internazionale di merce rubata (con un guadagno di circa 16 miliardi di dollari l’anno) e alla discarica dei rifiuti tossici. Uno dei migliori clienti è il Giappone che detiene il record dell’esportazione di materiale tossico in Asia. Le destinazioni più frequenti sono la Thailandia, l’India, la Cina (e Hong Kong). Nel 2006 i pirati della spazzatura cinesi hanno gettato a mare 195 milioni di chili di polvere tossica lungo le coste della Thailandia ed esportato illegalmente in Cina 400 tonnellate di materiale elettronico giapponese.
Ma è l’Africa la destinazione più popolare dei rifiuti scomodi. L’organizzazione non governativa Basel Action Network rivela che il 75 per cento del materiale elettronico che arriva in Nigeria non può essere riciclato e diventa agente inquinante. La Somalia riceve regolarmente tonnellate di rifiuti elettronici e radioattivi. Spesso i pirati della spazzatura riversano in mare i loro carichi letali: alcuni sono riemersi dopo lo tsunami del dicembre 2005 e hanno provocato un’ondata ipocrita di pubblico sconcerto.
Da un’indagine del Times  emerge che tra quei rifiuti ci sono scorie di uranio radioattivo, cadmio, mercurio e piombo e anche materiale chimico, industriale ed ospedaliero altamente tossico proveniente dall’Europa. La spedizione, si suppone, risale al 1992, quando un gruppo di società europee assolda la svizzera Archair Partners e l’italiana Progresso, ambedue specializzate nell’esportazione di spazzatura scomoda. Sebbene non esistano prove che dimostrino la connivenza di queste società, tra il 1997 ed il 1998, il settimanale Famiglia Cristiana e la sezione italiana di Greenpeace denunciano l’accaduto. Greenpeace riesce persino a impossessarsi della copia dell’accordo firmato dall’allora presidente somalo Ali Mahdi Mohamed, che accetta 10 milioni di tonnellate di rifiuti tossici in cambio di 80 milioni di dollari. Cioè circa 8 dollari la tonnellata contro un costo di riciclaggio e smantellamento in Europa di  1.000 dollari la tonnellata.
L’Africa è la pattumiera del mondo perché è il continente più povero. Negli anni Novanta, carne radioattiva proveniente dall’ex Unione Sovietica viene seppellita in Zambia dopo che la popolazione ne aveva mangiata una parte. Affamata, la gente la riesuma. Nel 2000 lo Zambia riceve in «dono» barattoli di carne contaminata dalla Cecoslovacchia. Dopo la scoperta, i 2.880 barattoli sono seppelliti a 3,5 metri sottoterra e coperti con una colata di cemento nel villaggio di Chongwe. Da allora, gli abitanti affamati hanno fatto di tutto pur di arrivare alla carne. Due anni dopo un giornale belga, Gazet van Antwerpen, informa che sono riusciti a riesumarla e mangiarla.
La cattura della super-petroliera nel golfo di Aden, nel novembre scorso, è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno-canaglia globale di cui noi, i consumatori ricchi del villaggio globale siamo gli inconsapevoli soci in affari. 


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