domenica 28 luglio 2013

Razzismo, contro l’intolleranza ecco il Piano anti discriminazioni

Razzismo, contro l’intolleranza ecco il Piano anti discriminazioni

28/07/2013

Cécile Kyenge sta per lanciare il primo piano organico di lotta ai razzismi in Italia. Contro tutte le discriminazioni, di genere, di sesso, di razza, di lingua, di religione. Un piano che sarà «programmatico», quindi senza una data di scadenza e si articolerà non a fasi ma complessivamente in una miriade di azioni coordinate, un piano che non sarà calato dall’alto ma verrà delineato attraverso un percorso di interlocuzione e confronto continuo con le associazioni che già operano in questi campi e con gli enti locali, scrive l'Unità..

Di questo piano, che verrà presentato ufficialmente martedì prossimo e che coinvolgerà fondi e competenze non solo del ministero dell’Integrazione - quello della Kyenge, alla quale resta in ogni caso la responsabilità al vertice - ma anche il dicastero delle Pari Opportunità e altri, siamo in grado di anticipare almeno le linee guida. Il dato sicuramente più significativo sta proprio nell’approccio metodologico rispetto a un fenomeno grave e di vaste proporzioni ma anche con varie sfaccettature, che fanno tutte parte di una cultura discriminatoria se non di vero e proprio razzismo e rifiuto violento dell’altro, del diverso da sé, dello straniero, del gay, del rom, dei soggetti più deboli e meno protetti, incluse le donne.

Il piano è infatti concepito come un working in progress, un processo di interscambio e di monitoraggio delle situazioni di criticità e contestualmente delle «buone pratiche» già messe alla prova in alcuni territori.

Si inizierà dunque dal confronto con il mondo dell’associazionismo, suddividendo i gruppi di lavoro in base ai settori fondamentali di intervento: occupazione, casa e scuola. In parallelo saranno interessati gli enti territoriali, Comuni e Regioni in particolare, anche loro chiamati a elaborare proposte specifiche. Fondamentale sarà una attività di ricognizione delle situazioni di discriminazione e di individuazione degli ostacoli al raggiungimento di diritti pieni nei vari campi, attività che partirà in parallelo alle azioni positive. Ostacoli come ad esempio quelli sulla bancabilità e la concessione di credito agli immigrati, o sull’accesso ai servizi, da quelli medici a quelli sociali.

È il caso, in molti Comuni, dei requisiti di residenza, più alti di quelli indicati dalla Comunità europea ad esempio per le famiglie rom. Il monitoraggio riguarderà infatti anche l’attività amministrativa e normativa, il cosiddetto «razzismo istituzionale», cioè le norme e le disposizioni che alimentano e scaturiscono da preconcetti o stereotipi di ordine xenofobo, sessista, religioso

Verrà poi elaborato un dataset su cui innervare i progetti futuri. In base a una recente indagine dell’Unar, l’ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali - ente istituito nel 2000 che l’ultimo governo Berlusconi voleva sterilizzare e che ora collabora attivamente a questo piano del governo Letta - emerge come la maggioranza degli italiani siano consapevoli di un diffuso atteggiamento discriminatorio nei confronti degli immigrati e lo condannino in generale, ma poi rispondendo a domande più specifiche - del tipo: «avrebbe problemi se sua figlia-figlio si fidanzasse con uno straniero?», «avrebbe qualcosa in contrario ad avere vicini di casa extracomunitari?» - restano maggioritarie le diffidenze o anche gli atteggiamenti di chiusura.

Per disinnescare gli stereotipi più diffusi, e pericolosi per la tendenza alla loro trasformazione in stigma sociali, è necessario soprattutto un intervento di informazione. È infatti dall’ignoranza che spesso si generano atteggiamenti razzistici. Ad esempio esistono considerazioni tanto condivise quanto false sulla provenienza degli immigrati - si pensa che arrivino in massa dal mare sui «barconi dei disperati» mentre è via terra che arriva il flusso maggiore - o sulla prevalenza tra loro di fedeli islamici, magari fondamentalisti.

La scuola è dunque il primo settore di intervento, terreno indispensabile per affermare una cultura in cui le diversità siano sentite come ricchezza e non come pericolo per la propria identità. Crescere imparando a condividere esperienze e culture diverse significa passare dalla logica della semplice «integrazione» e della «tolleranza» a quella, ben più civile e progressiva, dell’interazione multiculturale, in cui ognuno è valorizzato nelle proprie caratteristiche attraverso un percorso di confronto e di scambio.

È con le stesse finalità che il piano concepisce anche azioni particolari dedicate al mondo del lavoro, rubricate come diversity management. Il diversity management è una filosofia di gestione delle risorse umane che si propone di utilizzare e mettere pienamente a frutto le diverse abilità e conoscenze in un ambiente e con tempi di lavoro modellati a questo scopo. Ciò riguarda in particolare le esigenze e le competenze femminili: un orario più flessibile e rispondente alle esigenze di accudimento dei figli o asili aziendali possono mettere a più donne di sviluppare nel lavoro le loro competenze che oggi restano, spesso, inutilizzate. Il piano anti discriminazione della ministra Kyenge dovrà perciò formulare anche protocolli di questo tipo rivolti ai ruoli alti dell’impresa e alle figure apicali nel settore dei servizi, in grado di favorire e valorizzare le caratteristiche femminili, come maggior senso di squadra, maggiore responsabilità. È un piano ambizioso che ha come obiettivo, a ben vedere, la società nel suo complesso, riprendendo un tipo di innovazione per cui l’Italia, decenni addietro, era all’avanguardia in Europa.

Lo Staff

Nessun commento:

Posta un commento