Quando halal e kosher significano business
24/05/2013
Le certificazioni religiose si rivelano la chiave di volta per raggiungere non solo gli osservanti residenti in Italia, ma anche mercati esteri dalle proporzioni molto più ampie dice il quotidiano online della Bocconi.
Il milione e mezzo di musulmani e i 30.000 ebrei residenti in Italia non sono il solo mercato potenziale che l’industria alimentare può raggiungere attraverso una forma di certificazione religiosa. In realtà tali certificazioni si rivelano spesso la chiave di volta per penetrare mercati esteri di dimensioni ben più rilevanti, hanno chiarito mercoledì 22 maggio Yahya Sergio Yahe Pallavicini, vicepresidente della Coreis, Comunità religiosa islamica italiana, e il rabbino Avraham Hazan della Italy Kosher Union in un dibattito all’interno del corso di sustainable operations management di Alberto Grando e Valeria Belvedere.
I musulmani sono tenuti a mangiare solo cibo halal, gli ebrei cibo kosher; le rispettive certificazioni si vanno normalmente ad aggiungere alle certificazioni sanitarie obbligatorie e vengono spesso interpretate dai consumatori come indici di qualità, anche se riguardano aspetti diversi, come la scelta degli ingredienti e il processo produttivo.
Le due autorità hanno sottolineato il ruolo giocato dal cibo nel preservare la propria identità e la comune sensibilità delle due religioni agli aspetti alimentari, tanto che in passato, quando la reperibilità del cibo halal in Italia era molto limitata, i musulmani sceglievano spesso di servirsi presso fornitori di cibo kosher.
Pallavicini e il rabbino Hazan nell'aula in cui si è tenuto il dibattito (foto)
Lo Staff
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