La strana rabbia anti stranieri a Cagliari. Ma loro ci tendono la mano
30/05/2013
Cagliari città multietnica? scrive Jacopo Norfo sul quotidiano cagliaritano online Casteddu.
Triste pensare che il vero obiettivo dell’integrazione non sia stato ancora centrato. Negli ultimi tre giorni Facebook è diventato il megafono senza controllo degli anti stranieri in città: dopo la protesta di Forza Nuova contro i Rom, da molti considerata razzista e finita in Procura, sembra essersi scatenata da parte di una frangia isolata ma pericolosa la polemica contro i non europei. Gli ultimi a finire nel mirino in maniera pesante sono i cinesi, ormai integrati da vent’anni a Cagliari: la notizia del blitz delle Fiamme Gialle da Brico Cina ha scatenato una pioggia di commenti negativi verso gli asiatici. Accusati di “vendere materiale tossico”, di “fare lavorare la gente per 200 euro al mese”, con un coro di applausi alla Finanza al ritmo di “talastima” e “beni fattu, era ora”. Un vero e proprio tam tam di protesta contro i cinesi, poi però siamo certi che la maggior parte degli ultras dell’italianismo siano stati almeno una volta a comprare le mutande a un euro o qualunque altro articolo in almeno uno dei megastore cinesi a Cagliari. Insomma dai cinesi si compra in massa, ma quando vengono trovati con la merce contraffatta ecco che si scatena l’applauso collettivo. Come se fossero “diversi”, come se fossero tutti illegali.
Al di là delle colpe singole (è logico che chi non rispetta le regole debba essere sanzionato, che sia italiano, africano o asiatico) ci piace chiarire una volta per tutte che il nostro giornale da un anno e mezzo sta combattendo una battaglia per la giusta integrazione degli stranieri a Cagliari. Lo dimostrammo ad agosto 2012 quando per primi smascherammo la bufala delle “case con piscina ai Rom”. E non è un caso che la vera lezione oggi l’abbiano data i musulmani a tanti cagliaritani che contestano i Rom o non vogliono la moschea: Sulaiman Hjiazi, il portavoce della comunità musulmana, ha annunciato una raccolta di fondi dedicata a Pasquale Spiga, il disoccupato che ieri ha tentato di darsi fuoco per disperazione dentro il Municipio di Cagliari. A lui sarà dedicata la preghiera di venerdì, dunque sono gli stranieri a tenderci la mano. E mentre i consiglieri Piras e Rodin litigano sui soldi spesi per il vecchio campo Rom, a preoccuparci veramente è un fatto: la maggior parte degli stranieri che abitano in città sono a tutti gli effetti cittadini cagliaritani, perché hanno la residenza qui. Molti svolgono lavori, nei campi agricoli, che non tutti accetterebbero di fare. Sono uguali a noi, sono parte di noi, con gli stessi pregi e difetti. Sono nostri amici, spesso siamo noi a comportarci in maniera poco corretta. Tra gli stranieri c’è la stessa percentuale di delinquenti che c’è tra i sardi. E non si tratta di essere di sinistra o di destra, si tratta di decidere se vogliamo restare ancorati alla vecchia idea di città provinciale o se vogliamo, invece, diventare una città moderna al passo delle capitali europee. Se tutti i cinesi vendessero merce contraffatta, siamo certi che i loro negozi sarebbero già falliti. Se tutti i Rom fossero cattivi, l’Ordine dei Giornalisti non avrebbe sanzionato il vice direttore dell’Unione Sarda Roberto Casu, che sbatteva la parola “zingari” in prima pagina. Comunque la si pensi, il valore della fratellanza dovrebbe essere il più forte anche in tempi di crisi e di tensione sociale. Ci piace allora allegare a questo editoriale lafoto di Ethnikà, il bellissimo raduno di appena due mesi fa a Monte Claro: non eravamo in ventimila a tenerci per mano?
Un commento che fa riflettere infine conclude l'articolo: "Mi sento di sottoscrivere parola per parola questo articolo a cui aggiungo, così giusto per la precisione che tutti i gadget digitali che vanno per la maggiore soprattutto in Italia vengono costruiti da asiatici in fabbriche fatiscenti e con stipendi da fame (per noi europei, ma che nei paesi di origine possono equivalere a stipendi di un certo peso). Sareste disposti a rinunciare al vostro smartphone/tablet preferito? Secondo: l'abbigliamento dei Grandi Marchi. Lo sapete che per avere l'etichetta Made in Italy è sufficiente che solo il 30% dell'intero prodotto sia fatto in Italia (che può anche significare - e servizi di Report l'hanno dimostrato con le immagini - fatti da extracomunitari in scantinati puzzolenti)? Andate a guardare dove sono prodotte e confezionate scarpe di marchi quali Nike, Adidas, Reebok, etc o gli abiti che compriamo da Oviesse, Piazza Italia etc..."
Lo Staff
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