I musulmani che tornano a casa «Troppa crisi in Italia»
27/05/2013
Porto Mantovano. «Venite a vedere di persona che cos’è l’Islam». Il centro islamico di via Londra apre le porte. Al suo interno si raccontano storie di famiglie in crisi, piegate dalla crisi economica, che lasciano l’Italia per tornare al Paese di origine o cercare fortuna in Francia o Belgio. Poi invitano il vescovo Roberto Busti: «Lo informiamo sempre delle nostre iniziative, ma non è mai venuto» scrive la Gazzetta di Mantova che ha intervistato i volontari i quali hanno raccontato anche dei 70 bambini che ogni domenica studiano l'arabo a Porto.
Oggi dalle 10 in poi chiunque potrà visitare il centro islamico di Porto, il più grande della provincia, aperto nel 2004. Strutture simili sono presenti nei maggiori centri del Mantovano. Da Suzzara a Sermide, da Castiglione a Viadana, passando per Ostiglia.
Siamo andati in via Londra un paio di giorni prima dell’evento. Ci ha fatto strada il segretario del centro culturale, Hassan Sarrar. Al piano terra c’è la zona della preghiera riservata agli uomini. «Ne abbiamo fatta di strada in quasi dieci anni di attività – racconta Hassan mentre si toglie le scarpe prima di appoggiare i piedi sul tappeto - Eravamo in dieci quando abbiamo fondato il centro, ora alle preghiere partecipano centinaia di persone. Una decina di volontari viene qui ogni giorno e tiene in ordine la struttura». Ma non ci sono solo buone notizie, purtroppo. La comunità islamica è stata colpita duramente dalla crisi economica. La conseguenza? Almeno una trentina di famiglie che frequentavano il centro hanno fatto le valigie o sono in procinto di lasciare il Paese. «Tanta gente ha perso la speranza, è una situazione difficile – conferma Hassan - in Italia l’economia è ferma e il welfare non garantisce una sopravvivenza dignitosa».
Famiglie che erano a Mantova da decine di anni, spesso con figli nati in Italia, hanno dovuto mettersi su un treno o su un aereo per cercare fortuna. «Le mete preferite sono Belgio e Francia – dicono i volontari del centro - Lì, certo non ci si arricchisce, ma c’è qualche possibilità in più di trovare lavoro. Mal che vada, si viene aiutati dai servizi sociali: una casa e da mangiare non mancano».
C'è chi ha preferito addirittura tornare al Paese di origine, soprattutto Marocco e Tunisia, «perché è meglio vivere in una nazione che sta andando avanti, in cui lentamente la qualità della vita sta migliorando, che stare in Italia dove le cose negli ultimi anni sono precipitate».
Il tour prosegue al secondo piano, dove, oltre a un paio di bagni nuovi di zecca, c’è la sala dedicata alle preghiere delle donne e tre aule che ogni domenica vengono riempite da una settantina di bambini, italiani di seconda generazione, che vengono in via Londra per imparare a leggere e scrivere l’arabo.
Non dimenticare le proprie origini, scoprire attraverso i libri la propria patria.
«Abbiamo speso tanti soldi per dare ai fedeli un centro in cui svolgere tutte le attività che interessano – dice con orgoglio Hassan - ma ora la crisi ci sta presentando il conto. Non riusciamo a pagare le aziende che hanno fatto i lavori, abbiamo venticinquemila euro di debiti. Fino a pochi anni fa ricevevamo molte più offerte dai fedeli, mentre ora si sono quasi azzerate».
Ma il salvadanaio vuoto non ha fermato la voglia di fare dei volontari del centro, che lanciano un appello al vescovo Roberto Busti: «Lo invitiamo sempre ai nostri eventi, ma non è mai venuto. Saremmo onorati di accoglierlo qui. Con gli italiani c’è un ottimo rapporto: qui al centro vengono le scolaresche in gita, ogni anno invitiamo a colazione gli italiani nel periodo del Ramadan. Non abbiamo mai avuto problemi neanche con i nostri “vicini di casa”, cioè le aziende qui vicino (il centro culturale islamico è in piena zona industriale, ndr), anzi, spesso ci ringraziano perché visto che noi spesso chiudiamo il centro tardi alla sera, da queste parti i ladri non si vedono quasi mai».
Lo Staff
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